QUANDO LA POLITICA - Il sito di Marco ZACCHERA

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QUANDO LA POLITICA

Interventi


QUANDO LA POLITICA ERA UNA COSA SERIA

Certe volte – e lo già scritto in “Staffette”, in un libro dedicato proprio ai ragazzi che vogliono far politica – mi rendo conto che i giovani di oggi non hanno neppure un’idea di cosa fosse la politica “seria” o almeno quella che nei partiti politici trovava un suo naturale  microcosmo con tutta una serie di riti e di impegni per chi voleva crescere e soprattutto dove si ascoltava con rispetto, lavorando e imparando per poi -  se si era in gamba -  metterlo in pratica.
Per quasi cinquant'anni i partiti politici italiani – dal dopoguerra al '94 – sono rimasti pressapoco gli stessi e con schemi consolidati.
Sono cresciuto in un partito – il Movimento Sociale Italia-Destra Nazionale – che era assolutamente ai margini del sistema politico: casa naturale di ex fascisti (ma non solo) raccoglieva intorno al 5 % dei voti, il che voleva dire far eleggere 30-40 deputati ed una ventina di senatori, ma anche uno o due rappresentanti  nelle varie assemblee elettive. Essere da soli a rappresentare un partito è impegnativo perchè devi difenderti e intervenire su tutto, ma se hai stoffa, pazienza e volontà le devi per forza tirar fuori.
In fondo star da soli è anche pratico e un pò folkloristico soprattutto se parli “a nome del tuo gruppo” (ovvero di te medesimo), ma siccome al massimo - per tanti anni - il mio gruppo era composto da me e dal carissimo amico dott. Franco Verna, problemi non ce n'erano mai. Piuttosto lo stare da soli ti obbliga ad informarti, verificare, lottare comunque per non farti schiacciare.
Per questo, nel mio consiglio comunale di oggi a Verbania, apprezzo sempre gli innumerevoli interventi dell' unico consigliere di Rifondazione Comunista che pur a volte mi sembra parli di cose spaziali: ci ritrovo il Marco Zacchera di tanti anni fa.
Ma torniamo alle cose nostre: Il MSI ( “Destra Nazionale” si aggiunse negli anni '70 quando si aggregarono monarchici e  un po' di liberali)  cercava di distinguersi in un mondo politico bloccato. In molte regioni d’Italia – e soprattutto al nord – era considerato un partito appestato, tollerato quando non apertamente stroncato da quasi tutti. Eri emarginato “a prescindere” qualunque cosa dicessi o pensassi, ma quel settarismo preconcetto per me era la molla per impegnarmi sempre di più.
Negli anni ’70 tanti giovani come me entrarono nel MSI anche perché ci sembrava un angolo pulito in un mondo già corrotto, dove alcuni principi – l’ordine, la nazione, la patria, le radici culturali, una Europa delle nazioni – avevano un senso e soprattutto richiamati da alcuni personaggi carismatici, come Giorgio Almirante,  che erano grandi oratori e trascinatori. A me piaceva anche quell'aria da perseguitati (e un bel po' lo eravamo davvero), da carbonari, con il rischio di sapere di essere e di restare in assoluta minoranza ma anche per un mio innato senso di ribellione all' ingiustizia, perchè non trovavo giusto qualificare come “fascisti” anche tutti quelli che - come me – avevano solo una lettura storica un po' diversa da tanti fatti della recente storia italiana.  
Non mi è mai piaciuto il fascismo né come ideologia né come personaggi, ma il parlarne solo male mi sembrava illogico e ricordo la poca credibilità dei libri di storia “ufficiali” e le stroncature – per esempio – a chi cominciava (come il De Felice) a discutere sulla base di documenti storici e non solo di  opinioni.
A leggere il mio testo di storia in quinta ragioneria quaranta milioni di italiani imbesuiti si erano fatti guidare per vent'anni da un deficente che violentemente aveva eliminato con il bastone ogni dissenso: troppo semplice. Non parliamo poi della Resistenza celebrata ogni domenica sulle piazze solo in chiave retorica, mentre io andavo conoscendo tantissime persone “normali” che mi ripetevano “Non andò proprio così...”
Non avendo da spartire né posti né cariche di potere nel MSI c'erano soprattutto grandi discussioni su questioni teoriche tra ala destra e ala sinistra “sociale” (che a me sembrava più comunista dei comunisti, ma molto velleitaria) in un miscuglio di gruppi e di correnti dove molte volte il collante era l’autodifesa fisica davanti ad un estrema sinistra numericamente tanto più numerosa di noi.
Ricordo un “Campo scuola” (anche se stavamo in albergo) a Cascia, in Umbria, con 400 dirigenti giovanili di tutta Italia, con Almirante che per una settimana ha mangiato ai nostri tavoli per conoscerci uno per uno  e dove ho cominciato a frequentare tante persone che poi ho ritrovato molti anni dopo in parlamento. Eravamo gente pulita, entusiasta, che ogni giorno sapeva di rischiare qualcosa  ma credeva in quello che faceva.
Il “top” erano le campagne elettorali che per me volevano dire un mese di notti in bianco, manifesti da appiccicare in tutta la provincia, comizi volanti che finivano a sassate, altoparlanti sulle auto, fermi di polizia. Mille ricordi, belli come possono essere ricordati quelli di gioventù, con un innato senso di giustizia e ribellione che mi imponeva di dire sempre la mia anche in situazioni dove stare zitto forse sarebbe stato più saggio, almeno per le potenziali conseguenze. Come dimenticare i primi comizi davanti a piazze assolutamente vuote, ma condotti come se fossero straripanti di pubblico, tanto ciclostile con le mani piene di inchiostro, tolle di colla da manifesti – una volta, ricordo, recuperando l'acqua necessaria fasendo sciogliere la neve al caldo del motore della auto – e poi tante fughe precipitose.
Parlavi a piazze vuote perchè la gente non si fidava a farsi vedere, salutavi “le forze dell'ordine” perchè erano le uniche visibili in piazza (votano anche poliziotti e carabinieri...) e quando mi dicono “però parli bene in pubblico!” mi viene in mente una piazza mercato di Domodossola alle tre del pomeriggio assolutamente vuota ed io che dico all'oggi senatore Mantica “Alfredo, lasciamo perdere?” e lui “Ma neanche per idea!.. “Citttadini!!!...”
Eppure – alla lunga – la storia in qualche modo ci ha dato ragione e non solo perchè siamo arrivati al governo, ma perchè tutto il '900 è visto ora con più serenità e meno passione, anche se sono serviti più i libri di Pansa a rompere gli schemi di quelli  (molto simili) documentati tanti anni fa da Giorgio Pisanò che però - essendo stati scritti da un “fascista” - erano ripudiati dalle librerie.
Mille episodi che oggi fanno sorridere e sembrano assurdi o incomprensibili nelle logiche odierne, ma allora erano realtà dell'impegno politico quotidiano. Una discriminazione becera, a volte ridicola, per esempio i giornali che pubblicavano le liste dei candidati ma non quella del MSI ed era ridicolo proprio perchè leggevi il titolo “Presentate dieci liste” e poi sotto ne risultavano nove.
Oppure  gli spazi che ci assegnavano per i manifesti (allora non c'erano i tabelloni, si affiggevano sui muri) in modo assurdo. Ricordo che a Vignone, un paese sopra Verbania, lo “spazio” per l'affissione corrispondeva a un vicolo tra due case. Anche gli scrutatori (allora scelti dal comune) per verificare i voti nei seggi elettorali erano divisi solo tra gli altri partiti “dell'arco costituzionale” e a noi a Verbania ce ne davano tradizionalmente solo due, per sfotterci: uno a Cavandone (40 votanti) e l'altro al ricovero dei vecchi, dove al massimo i votanti erano venti.  Daltronde avevamo liste di candidati per le elezioni comunali dove su venti o trenta nomi solo due o tre erano del paese, gli altri erano illustri sconosciuti provenienti da chissà dove che avevano sottoscritte candidature in bianco. Io credo di essere stato candidato un po' ovunque e venivo a saperlo solo quando mi convocavano in questura: “Ma perchè si è candidato anche a Cerano?”, e mi scocciava che ogni tanto a Verbania ci assegnassero come candidato “riempitivo” un signore di Pinerolo (che conobbi anni dopo, bravissima persona) che di cognome faceva “Manganello” e di nome – mi pare - “Felice” per cui sulla lista usciva “ Manganello Felice” anche se temo che i lettori più giovani non comprenderanno più nemmeno l'ironia di queste cose.
Il controllo della documentazione di lista era sempre più che minuzioso, ma è stato così che ho imparato i mille cavilli delle leggi elettorali (non mi hanno mai rifiutato una lista!) anche se spesso nell'unico giorno e mezzo previsto per la loro presentazione dovevi depositarne contemporaneamente tantissime in mezza regione. Scoprii la profonda differenza tra un candidato che si chiami Giovanni Battista o Giovanbattista (fa fede il certificato elettorale!) ma come – se vuoi avere ragione - le cose vadano fatte precise e per bene.
Ricordo, credo fosse il 1980, quando  mi telefonò Nino Carazzoni: “Vai subito ad Arona, hanno qualche problema con  la lista...” Problemi? Mancavano due giorni alla presentazione e con orrore scoprii che non solo non c'erano i documenti dei (pochi) candidati,  ma che delle 75 firme minime autenticate necessarie per presentarli ne erano state raccolte solo due. Dove trovare 73 firme – più qualcuna di riserva – in un paese di sconosciuti ?
Mi segnalarono il giudice conciliatore che allora era autorizzato alle autentiche e lui – un signore anziano di nome Alganon che faceva il tipografo – mi confermò la sua disponibilità. “Mi porti qui la gente, io autentico”. Il problema fu che dopo mezza giornata eravamo arrivati a dieci, ma lui cominciò a simpatizzare vedendo la mia autentica disperazione e decise di salire a bordo della mia A112 per raccogliere firme a domicilio. Non bastavano, ma alla fine si commosse, mi fece fermare la macchina in piazza e cominciò ad accalappiare la gente che passava: “ Sciura, par piasè, al che la venga chi!” “ Oh, cusa la ghè, sciur Alganon?” “ A ga duvresa firmà chi, al ga dia   pur 'nugiada, ma l'è dumà par una autentica...” (“Dovrebbe firmare qui, dia pure un'occhiata, ma è solo per una autentica”)  In due ore le firme furono raccolte, la lista del MSI fu felicemente presentata ed eleggemmo un consigliere comunale.
Quando la settimana dopo passai a ringraziare, l'Alganon sorrise e tirò fuori dal portafoglio una vecchia foto in bianco e nero mostrandomi  un ragazzo in divisa... non da partigiano: “A l'eravam tucc inscì” mi disse, rimettendo via con cura la sua fotografia.


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